La scherma mi ha insegnato che il tempismo a volte è tutto.
Già, la puntualità non è il mio forte: arrivai in ritardo anche all’inaugurazione del corso di scherma, giusto in tempo per vedere due ragazzi cimentarsi in un duello scenico. Avevano in pugno spade medievali, a due mani, e non indossavano maschere o altre protezioni all’infuori dei guanti; in loro non c’era alcun timore del ferro ma solo grande fiducia e rispetto reciproco. Quando iniziarono a scambiarsi i colpi mi fu chiaro che la loro intesa doveva essere frutto di molti anni di allenamento condiviso.
Venni battezzata, poco tempo dopo, da un colpo di scudo.
Mi arrivò diritto in fronte per mano di un compagno d’arme, che si aggiudicò all’istante il posto d’onore sulla mia lista nera. Quel disgraziato fece breccia nel mio cuore e mi fece notare i miei limiti e le mie debolezze fisiche: mi disse che una piuma non poteva permettersi di entrare in gioco stretto senza il rischio di essere buttata a terra. Aveva ragione, ma il bello della scherma è anche questo: con un po’ d’astuzia e d’ingegno, il piccolo può avere la meglio sul grande, così come il debole sul forte.
Riuscii col tempo a capire come sfuggire dalla sua presa e a sfruttare le chiavi articolari, le leve ed il mio equilibrio, per ribaltare il gioco a mio favore attraverso un uso corretto delle tecniche “d’abracar”. Devo molto agli amici di “Florentia” ed “Armizare” che hanno permesso, grazie ai loro seminari, la mia crescita in un clima di confronto e condivisone.
Oggi per me la scherma è prima di tutto una forma mentale e richiede quindi non solo grande dedizione ed impegno fisico, ma anche un certo lavoro interiore. L’interpretazione e lo studio dei trattati mi affascina più del lato agonistico della disciplina, anche se è solo attraverso i tornei che ho potuto verificare, in prima persona, l’efficacia delle tecniche apprese dai libri.